Le commissioni sui Fondi: la costosissima “parcella” che non sempre si vede

Le commissioni sui Fondi: la costosissima “parcella” che non sempre si vede

Costi espliciti e impliciti, fissi e variabili, una tantum e ricorrenti…

Quel che resta (se resta!) è il “guadagno” dell’investitore.

Non è facile comprendere il costo reale dell’investimento in Fondi Comuni.

La commissione di gestione è solo una delle componenti di spesa. Ci sono – poi – altre voci tra cui le commissioni di incentivo o di performance, quelle per la negoziazione dei titoli, i costi amministrativi, quelli per la banca depositaria, ecc.

Una parte consistente di tutti questi costi è destinata a remunerare le reti di vendita (società di intermediazione e promotore): uno studio[1] pubblicato da Consob a gennaio dello scorso anno dimostra che circa il 70% delle commissioni riconosciute alle società di gestione del risparmio è assorbito dai costi di distribuzione.

La “parcella” più o meno occulta trattenuta dagli intermediari (Banche, SIM, Compagnie Assicurative) erode buona parte del rendimento dell’investitore. E quando il rendimento è negativo, la perdita – per effetto dei costi – diventa ancora più consistente.

In un mercato che offre anche strumenti alternativi ai fondi, tra cui gli Etf (exchange traded funds, i fondi indicizzati e quotati in Borsa), non si giustificano i maggiori costi che i fondi comuni comportano.

Un’analisi realizzata da Morningstar ha rivelato che il costo per gli investitori può essere molto più salato quando si sposta l’attenzione dalla commissione di gestione alla rappresentazione completa degli oneri.

Nella tabella in basso è possibile confrontare la diversa incidenza dei costi tra strumenti “attivi” (i fondi comuni) e strumenti “passivi” (gli Etf).

Indicativo è l’esempio degli obbligazionari: i fondi attivi hanno una commissione di gestione media dello 0,74%, ma il costo complessivo calcolato da Morningstar (costo rappresentativo) supera l’1%, raggiungendo un valore quattro volte superiore a quello degli etf (fondi passivi). Si può quindi facilmente intuire che, in una fase di tassi di interesse bassi o negativi come quella attuale, con simili costi è molto difficile che possano restituire rendimento positivo agli investitori.

Recentemente la normativa Mifid 2 ha introdotto l’obbligo, per banche e reti di consulenti finanziari, di inviare ai propri clienti un rendiconto dei costi ex post, cioè di tutti i costi trattenuti sugli investimenti nel corso dell’anno precedente. L’invio del documento, inizialmente previsto per i primi mesi del 2019 con i dati relativi al 2018, continua però ad essere rinviato. C’è da aspettarsi che le comunicazioni arrivino nel corso della prossima estate: durante le vacanze la gente è più “distratta” e presta meno attenzione alle comunicazioni della banca…


[1] “Il costo dei fondi comuni in Italia. Evoluzione temporale e confronto internazionale”, G. Finiguerra, G. Frati, R. Grasso

Le perdite sugli investimenti finanziari: leggere e insostenibili o pesanti e sopportabili?

Le perdite sugli investimenti finanziari: leggere e insostenibili o pesanti e sopportabili?

Impariamo a valutare la nostra capacità di sostenere le perdite per poter preservare il tenore di vita e non compromettere il raggiungimento degli obiettivi di investimento

Per chi si occupa professionalmente di investimenti finanziari, la valutazione della capacità del cliente di sostenere le perdite assume una particolare rilevanza nella scelta degli strumenti finanziari da consigliare.

Tutti gli strumenti finanziari sono infatti caratterizzati da rendimenti attesi e da rischi e questi ultimi si possono manifestare in forma di perdite in conto capitale, ad esempio a causa di forte caduta di prezzo o fallimento dell’emittente.

Ogni investitore dovrebbe imparare a valutare la propria capacità di sostenere le perdite, non sulla base di aspetti emozionali bensì in seguito all’analisi delle proprie condizioni economiche e patrimoniali, poste in relazione con gli obiettivi finanziari che si propone di realizzare in un determinato arco temporale (acquistare un immobile o un’auto, pianificare il matrimonio dei propri figli, preservare il tenore di vita al momento del pensionamento, poter garantire ai propri figli studi di alto livello, ecc,).

Può accadere infatti che, a causa di perdite rilevanti in conto capitale causate, ad esempio, da scelte di investimento sbagliate oppure da consistenti variazioni negative dei mercati finanziari, siamo indotti a destinare a risparmio una maggior quota del nostro reddito al fine di ripristinare il livello di patrimonio desiderato, sottraendola a esigenze di consumo e quindi intaccando il nostro tenore di vita.

Una perdita derivante da investimenti finanziari può quindi ritenersi non sostenibile se è tale da determinare un’involuzione nel nostro tenore di vita.

In conclusione, gli elementi da considerare sono:

  • capacità di risparmio: la sostenibilità delle perdite è maggiore in presenza di un livello di risparmio più elevato; in questo caso, infatti, al verificarsi di eventuali perdite, il capitale investito può essere ricostituito senza intaccare i consumi e quindi il tenore di vita;
  • obiettivi finanziari: quanto più sono numerosi e quanto maggiori sono le risorse che essi richiedono, tanto minore è la capacità di sostenere la perdita;
  • orizzonte temporale di investimento: un orizzonte a medio o lungo termine degli investimenti permette di sopportare una perdita più consistente, avendo più tempo a disposizione per ricostituire il valore del nostro patrimonio.

Individuata la portata di queste tre variabili, si potrà procedere alla selezione degli strumenti finanziari in grado di facilitare il raggiungimento degli obiettivi di investimento.

La liquidità dei titoli obbligazionari

La liquidità dei titoli obbligazionari

Le informazioni utili per capire se un’obbligazione è sufficientemente liquida per poter essere scambiata evitando sorprese.

La liquidità può essere definita come la possibilità di acquistare o vendere un titolo senza significative ripercussioni negative sul prezzo.
L’aspetto della liquidità sul mercato di scambio è spesso sottovalutato dai risparmiatori quando acquistano un titolo obbligazionario. E a torto, perché spesso può rivelarsi un fattore fondamentale, considerato che il prezzo di uno strumento illiquido soffre terribilmente, soprattutto nelle fasi di turbolenza dei mercati.

Per un risparmiatore non è semplice evitare di finire in simili trappole. Ecco alcune informazioni che possono tornare utili:

Mercato: quando l’obbligazione è quotata in specifici mercati regolamentati (come il Mot, l’Eurotlx, l’Hi-MTF) la liquidità è di solito migliore, soprattutto se si negoziano piccoli importi.

Volume degli scambi: quanto maggiore è il volume scambiato, tanto migliore dovrebbe essere la liquidità. In genere si considera sufficientemente liquido un titolo che scambia almeno 500.000 euro al giorno su mercati regolamentati.

Spread denaro-lettera: minore è la differenza tra il prezzo “denaro” e quello “lettera”, migliore è la liquidità (il prezzo “denaro” è quello al quale l’intermediario è disposto ad acquistare, ovvero il prezzo al quale l’investitore vende; di contro, il prezzo “lettera” è quello al quale l’intermediario è disposto a vendere, ovvero il prezzo al quale l’investitore acquista).

Dimensione dell’emissione: maggiore è la dimensione, migliore è di norma la liquidità sul secondario (il mercato finanziario secondario è il luogo dove sono trattati i titoli già in circolazione, che vi rimangono fino alla loro eventuale scadenza. E’ logicamente contrapposto al mercato finanziario primario: ogni titolo nasce sul mercato primario e dopo l’emissione e il collocamento passa al secondario, in cui vengono raccolte tutte le operazioni dalla seconda in poi). Emissioni superiori ai 500 milioni di euro sono generalmente abbastanza liquide.

Caratteristiche dei titoli: le obbligazioni con caratteristiche complicate, ad esempio quelle con formule di indicizzazione poco comprensibili, sono spesso poco liquide sul secondario.